Un muro nero, freddo, altissimo subito dopo una cascina, all’imbocco di quello straordinario freschissimo “canyon” che è la val Vertova. Quel muro porta il ricordo dei partigiani che furono fucilati qui nella rappresaglia seguita al clamoroso assalto al treno che la banda di Angelo Del Bello “Mino”, personaggio restio al coordinamento e allo spirito di squadra, effettuò il 16 agosto 1944. In pieno giorno i partigiani fermarono due convogli in transito, disarmarono i fascisti di guardia e presero in ostaggio due ufficiali tedeschi di passaggio. La rappresaglia tedesca costò la vita a 7 partigiani, cinque fucilati in val Vertova il 17 e altri due al Roccolone, il 22 agosto.
La gita che proponiamo è praticabile in ogni stagione e ad ogni età. Niente salita, o quasi. E l’acqua sarà la gioia dei bambini.
Località di partenza | Cà Rosèt, Vertova, 475 m |
Località di arrivo | sorgenti della val Vertova, 600 m |
Segnavia | 527 |
Tempo di salita | 1 h |
Ripari | no |
Acqua | sì |
Cartina | Kompass n.104; Cai-Provincia n. 8 - 5 |
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Da Vertova si prende la strada della val Vertova per km 2,7 fino alla località Cà Rosèt (475 m, trattoria), La strada diventa ora sterrata e, superato il rifugetto del GAV (Gruppo Alpinistico Vertovese, www.gavvertova.it), dopo un centinaio di metri vi è possibilità di parcheggio (tabellone con percorsi naturalistici, indicazioni).
Da qui si procede a piedi sulla suggestiva stradetta ben sistemata che percorre il fondo della valle, tra due pareti a picco in un ambiente che ricorda un canyon, mentre sul fondo corre l’acqua limpida del torrente. Un quarto d’ora dopo la partenza, nei pressi di una cascina, è collocata la lapide che ricorda l’uccisione di cinque partigiani. Nel 70° anniversario è stata collocato un cartello informativo delle vicende che portarono alla strage alla successiva uccisione di altri due partigiani nella zona e all’incendio di due cascine, di cui una è proprio quella a fianco.
Si prosegue sulla strada che corre quasi sempre in piano, con alcuni tratti in salita per superare i salti del torrente; si toccano sorgenti, si passano guadi attrezzati per facilitare il passaggio, si scoprono angoli splendidi, in una successione di salti d’acqua, cascatelle e marmitte di acqua fredda e cristallina e numerose opere idrauliche. Si incontrano altri tabelloni informativi sulle caratteristiche naturali della valle. In meno di un’ora di tranquilla passeggiata si giunge a un tratto più stretto, in cui il torrente è chiuso da cancellate a protezione delle prese dell’acqua potabile.
Il ritorno, se non si intende seguire gli altri percorsi proposti dalla segnaletica (passo Bliben, monte Cavlera, bivacco Testa…) segue la medesima via dell’andata.
Il senso di Bepi per la guerra
Bepi Lanfranchi (1916-1999) nell’estate del ’44 tentava di costituire la Brigata Giustizia e Libertà “Gabriele Camozzi”, ma operazioni spregiudicate condotte da gruppi restii al coordinamento frenavano l’unificazione e creavano non pochi problemi al movimento partigiano e alla popolazione. Bepi espresse giudizi molto critici sulla mancanza di pianificazione di queste azioni: “Fermare un treno in piena val Seriana come azione dimostrativa è forte, e quindi una repressione c’era da pensarla e, come minimo, bisognava spostarsi, questo è chiaro! Che se loro si fossero portati per trecento metri in un bosco, a destra del fiume, probabilmente non li pescavano. Questo è dovuto a impreparazione, che era di tutti, non di uno o dell’altro… Non è che gli ufficiali ne sapessero più di noi, ma uno che avesse fatto l’Albania o la Jugoslavia, poteva avere nozioni di guerra partigiana… invece così eravamo degli sprovveduti... qualche fucilata, ma dopo bisognava cambiare posto, quello era il minimo che bisognava fare”.
Anche sulla presenza in Valzurio – che costò l’incendio del paese – il giudizio era netto: “...si erano trasferiti lì a Valzurio, mentre io ero tornato su al Farno, in attesa di lanci. Ma io ricordo di aver suggerito una località più su, i prati del Möschel, appunto perché c’era questo intervallo di un’ora e mezzo a piedi, almeno… Come base andava lo stesso per noi, per scendere, perchè camminare un’ora in più o un’ora in meno era lo stesso, però era una zona più tranquilla, e poi… per il fatto anche di evitare incendi o rappresaglie, come sono avvenute…”. La rappresaglia sul paesino “un po’ forse è dovuto anche a un’ impreparazione dei nostri che eran su a Valzurio. Continuavano a scendere a Villa d’Ogna – Clusone è vicina. ‘Ghe n’è sö di sentinér…ché ‘n comanda noter’: insomma circolavano queste dicerie, che poi venivano ingrandite… Sono saliti da Villa d’Ogna, sono saliti da Ardesio... sono arrivati su a Colle Palazzo, per prendere dal di sopra la postazione, perché, naturalmente chi scappasse via da sotto andava a finire su a Colle Palazzo… Sono arrivati con un’autoblinda fin su a Valzurio, perché la strada lo permetteva, e quindi… ecco l’’imprudenza di mettersi in un posto dove potevano arrivare automezzi. Più lontani dalla strada si era, meglio era… quindi la prima cosa era di non stare mai lungo la strada, dove poteva venire un mezzo… E poi la continua mobilità, perché anche altri episodi probabilmente potevano benissimo essere evitati con lo spostarsi”.
Bepi Lanfranchi, “Testimonianza sulla Brigata G.L. ‘Gabriele Camozzi’”, in Studi e ricerche di storia contemporanea, n. 11, 1978, pp. 62-80.