All’alba del 31 agosto 1944 le SS occupavano Fonteno prendendo in ostaggio numerosi civili, che radunarono sulla piazza del paese. Poi presero a salire verso i Colli di San Fermo, mentre da Monasterolo salivano i fascisti. Il comandante delle SS, maggiore Fritz Langer, ormai sicuro del successo, intimò la resa della 53a Brigata Garibaldi, pena la morte dei civili in ostaggio. Ma i partigiani con un'abile manovra, scesero a Fonteno, immobilizzarono i tedeschi rimasti in paese e liberarono gli ostaggi. Risalirono poi alle spalle delle SS, colpendone diverse e catturandone altre, compreso il maggiore Langer. Per avere salva la vita Langer ordinò la ritirata ai fascisti e alle sue SS, che furono rilasciate dai partigiani, senz'armi e senza mezzi e con l'impegno di non operare ritorsioni e rappresaglie sui civili di Fonteno. Impegno non mantenuto.
Ripercorriamo con questa escursione i luoghi della più rilevante battaglia della Resistenza bergamasca. Da Fonteno, luogo dello scontro con i tedeschi, risaliamo la valle fino ai monti Torrezzo e Sicolo, dove combatterono i partigiani contro i fascisti e rientriamo seguendo il percorso che i partigiani scelsero per aggirare i tedeschi.
Località di partenza e arrivo | Fonteno, 606 m |
Località di transito | Coletto, 1296 m |
Segnavia | Strada del Torrezzo - 568 |
Tempo | 4 h |
Ripari | sì |
Acqua | no |
Cartina | Kompass n.104; Cai-Provincia n. 9 |
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Il punto di partenza dell’itinerario è Fonteno, adagiato su una sorta di balcone naturale che si affaccia sul lago d'Iseo e sulla Valle Camonica. La piazza fu il teatro della vicenda: prima l’occupazione dei tedeschi, che catturarono alcuni ostaggi, quindi l’operazione di accerchiamento dei partigiani che catturarono i militari nemici, liberarono gli ostaggi e restituirono alle famiglie quanto era stato sequestrato dai tedeschi.
Lasciata l'auto sulla piazza della chiesa (fontanella) o in un parcheggio nei pressi, si imbocca via Campello (sul muro la lapide che ricorda la battaglia e i partigiani caduti, oltre a indicazioni sui sentieri) attraversando tutto il centro storico; lasciata a sinistra la chiesetta di San Rocco, si prosegue su un tratto ripido sino a che la strada asfaltata si trasforma in una larga mulattiera con fondo acciottolato. Questo è l'inizio della mulattiera del Torès (il monte Torrezzo, 1378 m, è la sommità che chiude la vallata) che collega diverse località dai toponimi caratteristici. Si raggiunge presto la Madonna Addolorata del Santello (701 m), chiesetta in pietra sui cui muri altre lapidi ricordano l’evento storico. La nostra escursione prosegue sempre sulla mulattiera principale, ignorando le deviazioni (tra cui quella ben indicata per la “Strada del Brugai”); incontriamo un portichetto in legno con tabelloni che illustrano il “Bueno Fonteno”, articolato e straordinario complesso speleologico a pochi passi da qui, in via di esplorazione da alcuni anni. Al termine di un tratto in piano, in prossimità di un bivio, sulla sinistra della strada sorge la cascina Fudrighì: è in questa località che i partigiani guidati da “Montagna”, dopo aver circondato i tedeschi in Fonteno, catturarono il comandante Langer con un gruppo dei suoi, decidendo così le sorti della giornata.
Proseguendo si può ammirare la bellezza della valle, sempre più ampia, costellata di pascoli e cascine. L’antichità di queste è comprovata dalla Camonga (1024 m), della quale una targa in legno dichiara la data di nascita nel 1477. Notevoli alcuni esemplari di castagno.
La strada fa un largo ma sempre dolce giro nella valle e arriva a sbucare al colle di Caf (1246 m), da cui ci si porta sulla destra al Coletto (1296 m), alle pendici del monte Torrezzo, dove sorge il monumento eretto a ricordo della violenta battaglia con i fascisti proprio su questi prati. Ampio il panorama.
Per il ritorno seguiamo l’itinerario che “Montagna” con i suoi, dopo aver ceduto il comando sul monte a Giorgio Paglia, effettuarono per sorprendere alle spalle i tedeschi in paese. Proseguiamo sulla strada alla destra del monumento (segnavia 568), superiamo una sbarra e continuiamo attraversando la zona dei Casini; superiamo il bivio con Valmaggiore, da cui scesero i partigiani dopo lo sganciamento, nei pressi del monte Sicolo (1273 m) e proseguiamo sempre sul crinale ignorando le numerose carrarecce che scendono verso le cascine. La strada diventa sentiero, tocca alcuni roccoli, giunge sopra la cascina Curnis (panchina, qui arriva la Strada del Brugai) e prosegue spostandosi sul lato nord del monte Boer (1231 m; si può anche percorrere il crinale e raggiungere quindi la vetta). Il sentiero comincia a scendere e sfocia su una stradetta asfaltata che rapidamente ci riporta a Fonteno con una grandiosa vista sul lago d’Iseo e le montagne della Valcamonica.
“Cominciò la battaglia, era un inferno”
Daniele Pedretti, classe 1928, aveva 16 anni nell’agosto del 1944. Era con i partigiani, il più giovane. Ecco il suo ricordo della battaglia di Fonteno. All’origine della vicenda, c’è la cattura di alcuni soldati tedeschi a Solto Collina, da parte dei partigiani: “Il giovedì ci siamo ritrovati in paese un’ondata di tedeschi che cercavano i loro uomini, alle 5 del mattino hanno circondato il paese, rastrellato casa per casa e portato tutta la gente in piazza. Poi hanno preso il parroco Don Mocchi, il curato Vittorio Musinelli, mio fratello don Giacomo, la maestra Faustina Bertoletti, il falegname Angelo Pedretti e gli hanno detto che se non avessero riportato i due tedeschi e l’interprete entro mezzogiorno avrebbero ucciso tutta la popolazione e bruciato il paese”. I cinque indicati dai tedeschi s’incamminano per la montagna per parlare con i partigiani e chiedergli di liberare i tedeschi: “Ma intanto i due che dormivano a casa mia erano arrivati in montagna e ci avevano raccontato quello che stava succedendo. Prima che mio fratello prete arrivasse in cima alla montagna una delegazione di partigiani gli è andata incontro e lì è scoppiata una discussione che è durata mezz’ora, mio fratello prete voleva riportare i tedeschi in piazza, ma il tenente Giorgio gli rispose che gli avrebbe mandato giù un pezzo per volta, niente da fare”. I partigiani vogliono tentare l’azione e liberare il paese: “Eravamo in 45, 22 sono scesi dalla montagna sopra il Belvedere, gli altri 23 sono rimasti in postazione. I tedeschi erano in 35 con un camion e tre auto, intanto erano già saliti sopra il paese e avevano bruciato 10-12 cascine. Le ore passavano e la situazione era drammatica, intanto da Monasterolo stava arrivando una colonna di fascisti provenienti da Clusone. Poi a mezzogiorno un colpo di mortaio e una cascina andò a fuoco. Intanto Don Mocchi e don Musinelli in montagna avevano dato la benedizione ai partigiani. Cominciò la battaglia, era un inferno”. I tedeschi salivano dalla valle verso la montagna e un gruppo di partigiani guidati da “Montagna” intanto li aggirava scendendo sopra il ristorante Belvedere: “E così sono riusciti a liberare il paese. Uno alla volta si sono infilati lungo la strada, sopra le scuole, piano, piano, c’era un muro alto con una sentinella, Brighenti dal dietro è arrivato, ha preso il calcio della pistola e gli ha dato una botta in testa, l’ha ucciso. Un’altra sentinella è stata sfregiata con un colpo di pallottola, un’altra è riuscita a scappare e intanto la gente scappava da tutte le parti. I partigiani hanno lanciato le bombe a mano contro le macchine e i camion dei tedeschi che sono esplose, bruciava tutto, la gente scappava, sembrava l’inferno. Intanto noi in montagna aspettavamo i tedeschi col mitragliatore e siamo riusciti a farli tutti prigionieri, tutti. Mio fratello Don Giacomo scendeva a valle con i due tedeschi e l’interprete, un partigiano gli ha detto di lasciarli andare, correvano, i partigiani hanno sparato, un tedesco è morto”. A sera: “Abbiamo trattato col comando tedesco una tregua, perché avevamo vinto ma se avessero mandato l’esercito ci avrebbero schiacciato, l’accordo era che avrebbero rispettato il paese”. Quel giorno però Daniele viene ferito: “Una pallottola mi trapassò la mano, guardi qui, c’è ancora il segno, mi è entrata dal polso ed è uscita tra il pollice e l’indice, sono stato fortunato, non mi ha preso nessun nervo. E l’altra pallottola si è infilata nel petto, ma non mi è più uscita”.
Intervista di Aristea Canini, “La mia battaglia di Fonteno”, in Araberara, 6 agosto 2010.