Da Villa d’Almè a Monte di Nese

La sera del 12 aprile 1945 centinaia di soldati, originari di diverse nazioni dell’Unione Sovietica e inquadrati nelle forze armate tedesche, giunsero a Monte di Nese; avevano trasgredito l’ordine del comando tedesco di dirigersi al fronte e deciso la diserzione, con la collaborazione e la guida di un gruppo di partigiani. Sorpresi all’alba dai fascisti e dai tedeschi (tra i quali altri stranieri), i “mongoli” – come venivano chiamati dalla popolazione, ma si trattava in questo caso di azerbajiani – pagarono cara la loro insubordinazione. Oltre un centinaio gli uccisi, una quarantina in combattimento e più di 70 mitragliati a freddo dopo la battaglia. I cadaveri, depredati e abbandonati, furono sepolti in fosse comuni dagli abitanti. Ripercorriamo il percorso di questi uomini da Villa d’Almè, dove erano in larga parte stanziati, fino a Monte di Nese, risalendo la valle del Giongo e costeggiando il Canto Alto.

Località di partenzaVilla d’Almè, 300 m
Località di arrivoMonte di Nese, 800 m
SegnaviaParco dei Colli: 113-220-212 - Cai:533
Tempo di salita2 h 30’
Ripari
Acquano
CartinaKompass n.105; Cai-Provincia n.7-8

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L’itinerario prende le mosse dalla chiesa di Villa d’Almé, dove la colonna degli azerbaijani si era data appuntamento con le “guide” partigiane. Si raggiunge la visibile chiesa di Bruntino (524 m), nei cui pressi arriva anche la linea 9 dell’ATB e si percorre la ripida salita che raggiunge e attraversa il nucleo storico. Dopo le ultime case, si gira a destra e si percorre un sentierino che rapidamente porta a una carrareccia che – imboccata verso destra - supera un cancello e sale nel bosco fino a raggiungere la località Zappel d’Erba (550 m, crocefisso) dove passa il sentiero 113, che giunge qui dal versante opposto del monte Giacoma, partendo da Bruntino Alto, variante utilizzabile per il ritorno. Il nostro itinerario risale dolcemente la valle del Giongo fino alla sua testata, la forcella di Camblì (731 m); proseguendo con il 113 sull’altro versante si raggiungono i Prati Parini. Seguendo il segnavia 220 che proveniendo da Sorisole ci fa salire in quota fin sotto il Canto Alto – una puntata al rifugio o alla vetta (1146 m) è alla portata di tutti – procediamo su un primo tratto erto, fino al bivio da cui, imboccando il 212, si percorre la testata della valle di Boderem e si scende sull’altro versante fino alla Forcella del Sorriso (759 m). Da qui, con il sentiero 533 che proviene dalla Maresana, si raggiungono i prati del Canto Basso (901 m). Questa zona, il dirimpettaio monte Cavallo, i versanti del monte Colletto, i prati intorno a Monte di Nese furono il teatro della caccia all’uomo organizzata dai nazifascisti.

A Monte di Nese, sotto la chiesa si scorge il cimitero il cui portichetto ospita una lapide in memoria dei 118 azerbaijani trucidati, mentre all’interno una tomba ospita i corpi di una parte delle vittime. Dalla chiesa si procede fino a imboccare il sentiero che in 10’ porta alla cappelletta posta quasi sullo spartiacque del Forcellino: ampio il panorama sulla val Brembana. Qui si può riprendere il sentiero 533 che conduce al monte Filaressa (1033 m) e a Salmezza, oppure attorniare il monte Cavallo dal versante nord, tornando al Canto Basso.

Per il rientro, se non si ha necessità di tornare al punto di partenza, si può scendere a Nese e quindi ad Alzano, oppure ripercorrendo un tratto del sentiero dell’andata, fino alla Forcella del Sorriso, raggiungere Bergamo.

“Signor tenente, abbiamo fatto buona caccia!”

“Ci sono morti nelle case, isolati o a gruppi, ma purtroppo la maggior parte fucilati. Oltre ai 54 presso il cimitero ce ne sono 11 sparsi dal campanile della chiesa fin verso il Ducchello, tutti fucilati: altri 3 a Ca’ Ghirardi, caduti in combattimento, 18 sul Brugal divisi in tre gruppi, 10 sul Monte Cavallo, 2 uccisi in Ca’ Paterna, 1 in casa di Licini Egidio. Totale 99 a Monte di Nese. Ma poi ce ne sono ancora 5 sul versante di Poscante, 2 ad Olera, 8 condotti prigionieri alla Busa e poi fucilati.

Ecco che si vede una colonna di Russi fatti prigionieri scendere al di sotto del Monte Cavallo. Li contiamo: sono 54; sono accompagnati da alcuni repubblicani e li conducono poco di sotto della chiesa e li fanno sedere in un prato. Un repubblicano grida: signor tenente, abbiamo fatto buona caccia, viva la…. E come sono affamati questi repubblicani: si mettono a spogliarli dei portafogli, pastrani ecc. ma quando vediamo levare ad una ventina le scarpe un dubbio atroce ci assale: li ammazzeranno? Mentre gli uni sono intenti a frugare in ogni tasca di quei disgraziati, gli altri appostano al di sotto un mitragliatrice. Li fanno alzare, alcuni obbediscono, con altri devono usare violenza. Con le mani nei capelli, con grida e pianti strazianti vengono spostati una cinquantina di metri e ridotti in poco spazio. Uno si inginocchia e con le mani giunte prega. Viene fatto alzare brutalmente. Quattro sgherri col fucile spianato si portano ai lati della valletta presso il cimitero. Ad un segnale di un tenente che ha diretto da lontano tutto, parte una scarica di mitraglia e cadono gli uni sopra gli altri (benevolo lettore non augurarti di assistere ad una scena di tanto terrore). Non tutti sono morti, anzi la maggior parte sono feriti (che grida!) ed allora vediamo la belva umana accanirsi sopra quegli esseri con una volontà sì barbara e selvaggia che è impossibile descriverla. Vengono letteralmente maciullati con colpi di pallottole esplosive sparate a bruciapelo. E così per un‘ora. Questo fu l’ultimo e più triste episodio di quel tredici fatale. Finalmente a gruppi isolati quei banditi se ne vanno”.

Relazione del parroco don Severino Vitali, in Andrea Pioselli, La diserzione. I “mongoli” nella Resistenza bergamasca e la strage di Monte di Nese, Il filo di Arianna, Bergamo, 2010, pp. 130-131.